Nella casa di ogni indiano è accesa una lampada davanti all’altare della sua divinità di elezione due volte al giorno o addirittura tutta la giornata. Di più: anche nella cultualità templare e in occasione di festival è raro non scorgere l’accensione di lampade.
Perché? Nell’immaginario collettivo indiano la luce rappresenta la conoscenza e il buio l’ignoranza. Più precisamente la luce è associata all’Assoluto dipanante la nescienza che nelle varie tradizioni teistiche è considerato Śiva, Viṣṇu o la Devī. Pertanto la luce è venerata quale simbolo sommo dell’Assoluto e ci si inchina a essa per ottenere il sommo dono: quella conoscenza in grado di sostenere e informare di sé quotidianamente ogni azione e pensiero.
Si consideri, poi, che l’olio o il ghee rappresentano le tendenze negative da bruciare mentre lo stoppino simboleggia l’ego anch’esso da sottoporre a processo di torrefazione. Ecco perché non sono ammesse lampadine elettriche etc. come succedanei.
Ovviamente la simbologia legata alla lampada-conoscenza è davvero inesauribile: come è possibile accendere migliaia di lampade per mezzo di una sola lampada, così una singola mente realizzata può illuminare infinite menti per mezzo della condivisione della propria conoscenza (non c’è spreco più grande, invece, della non-condivisione e del conseguente esaurimento della luce/conoscenza).
Solitamente l’accensione della lampada è accompagnata dalla seguente recitazione (della quale segue la mia traduzione personale):
dīpajyotiḥ parabrahma dīpaḥ sarvatamo’pahaḥ
dīpena sādhyate sarvaṁ sandhyādīpo namo’stu te
Io saluto la lucerna della congiunzione (alba, mezzodì e tramonto), la cui luce è il principio supremo [che] rimuove tutta l’oscurità e per mezzo della quale ogni [ottenimento] può essere conseguito.