Si tratta di una celebre festa religiosa hindū celebrata durante l’equinozio autunnale e dedicata alla dea. Il principale riferimento testuale della festività è il Devīmāhātmya (“Glorificazione della Dea”), ossia una sezione del Mārkaṇḍeya Purāṇa, nel quale si narra delle tre ipostasi assunte dalla dea in altrettanti cicli mitici.
1) La prima si colloca prima dell’inizio dei tempi, quando il dio Viṣṇu dormiva sotto le spire del serpente Ananta (o Śeṣa) galleggiante sulle acque cosmiche. Il dio Brahmā, appena nato da un fiore di loto germogliato dall’ombelico dello stesso Viṣṇu, invoca la dea Yoganidrā (“Sonno profondo dello yoga”) la quale esce dall’occhio di Viṣṇu, ivi provocandone il risveglio, ed evitando che i demoni Madhu e Kaiṭabha successivamente giustiziati dal dio, nati viceversa dal cerume del dio, potessero ucciderlo.
2) La seconda manifestazione è quella di Mahiṣāsuramardanī (“Colei che castiga il demone Bufalo”). Il demone Mahiṣa, dopo aver spodestato il re degli dèi Indra tiranneggiava sui mondi. Fu così che i deva, esasperati, si recarono da Viṣṇu e da Śiva, dalla cui collera, congiunta a quella del corteo degli dèi, produsse un grande fulgore che prese progressivamente le fattezze di una donna dalla grande potenza, la quale, armata dagli stessi dèi, affrontò e uccise Mahiṣa per mezzo di un tridente, dopo che quest’ultimo aveva provato a sottometterla. Successivamente, l’anima del demone cercò di sfuggire dalle grinfie della dea, ma ella gli mozzò il capo. A quel punto gli dèi innalzarono un inno di lode dedicato alla dea, la quale, dopo aver promesso loro che li avrebbe aiutati in qualsiasi circostanza, si ritirò presso il monte Himālaya.
3) Qualche anno dopo le terribili minacce degli asura Śumbha e Niśumbha indussero gli dèi a rivolgersi nuovamente alla dea che nel frattempo aveva assunto il nome di Kālī (“Nera”) poiché il suo corpo si era scurito a causa dell’ascesi. Fu così che Śumbha inviò i propri luogotenenti Caṇḍa e Muṇḍa per assoggettarla, ma Kālī mozzò loro il capo, ricevendo l’appellativo di Cāmuṇḍā (“Colei che uccise Caṇḍa e Muṇḍa”). In seguito ucciderà, oltreché l’infido demone Raktabīja del quale ne bevve il sangue, anche Śumbha e Niśumbha. Gli dèi, a quel punto, cantarono con grande devozione un lungo inno alla dea finché ella, dopo aver spiegato i vari aspetti del proprio culto, promise loro per una seconda volta che li avrebbe sostenuti ancora in caso di guerra contro i titani.