Studiare la lingua sanscrita rappresenta un viatico straordinario e per certi versi propedeutico per la conoscenza della millenaria civiltà indiana. In particolare lo studio di questa lingua, oltre a facilitare l’apprendimento di altre lingue indoeuropee fiorite nel subcontinente indiano (dalla pāli al tibetano fino alle lingue moderne dell’India come la hindī), consente di aprire una “finestra” privilegiata sui tesori della letteratura indiana antica e classica, giacché tutte le élite colte indiane hanno prodotto i loro tesori letterari (in ambito artistico, scientifico, religioso, filosofico etc.) attraverso tale veicolo linguistico.
Conoscere questa lingua “abilita” a cogliere orizzonti di senso e di significato davvero inesauribili non solo perché si tratta del veicolo linguistico dello yoga, del tantra e del patrimonio letterario filosofico-religioso dell’India premoderna, ma anche e soprattutto perché la sua grammatica stimola fortemente la “coscienza linguistica” dello studioso: “sostando” sulle radici verbali, sulle regole di apofonia, sulle variazioni fonetiche e sulla sua musicalità, il sanscritista affina qualità come l’umiltà, l’intuizione profonda, il rigore e il senso estetico. Tant’è che saṃskṛta si dice di qualcuno o qualcosa che, dopo essere stato sottoposto a determinati sacramenti (saṃskāra), abbia acquisito altrettanti competenze (adhikāra), ossia idoneità specifiche, diritti, sovranità e privilegi.
Vedi insights e inserzioni
Tutte le reazioni:
148148